S2E2 – Chi Trova un (Biodin)amico Trova un Tesoro con Federico Orsi” su Spreaker
Eccoci alla seconda puntata della seconda stagione! Oggi siamo qui con Federico Orsi, e parleremo di un territorio poco conosciuto ma non per questo meno importante, e affronteremo il sempiterno argomento della biodinamica!
Ciao Federico, tu lo sapevi che tutti si riferiscono a te come il vignaiolo più sexy dei Colli Bolognesi?
Facile, ci sono un sacco di vignaiole sui Colli Bolognesi! Oltre ad essere sexy vi ho pure portato una mortadella.
Vuoi parlarci un po’ di te?
Prima di tutto io mi definisco agricoltore. Vengo da una famiglia che ha fatto vino per generazioni, e ci sono tornato recentemente. Ho studiato ingegneria e lavoravo come consulente a Milano, girando un po’ il mondo. Nel 2005 ho avuto l’occasione, durante una serata in enoteca, di prendere delle vigne proprio sopra a casa mia, e da lì è partito tutto.
Come hai scelto di stare al mondo, enoicamente parlando?
Io ero un bevitore particolarmente preparato, diciamo così. A metà degli anni 2000 ho iniziato ad essere stanco di bere sempre la stessa roba. Quindi, da un lato è stato un discorso strategico: ho preso un vigneto in un posto semi-sconosciuto per il vino, dove ci sono pochi vignaioli con una media di 20000 bottiglie, che vende tutto a Bologna. Mi sono detto, qui si fa vino da millenni, cerchiamo di riscoprire il potenziale di questo territorio!
Purtroppo negli anni ’90 fu detto ai contadini che non sapevano fare vino, e furono spinti ad abbandonare i vitigni autoctoni e a piantare vitigni internazionali (con tutto il rispetto), ma sembrava che se tu non facessi un simil-Sassicaia, un simil-Super Tuscan fossi un deficiente.
Tieni conto che nei vigneti che ho acquistato avevano piantato Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Syrah, Sauvignon Blanc, Chardonnay e Riesling, anche se c’era ancora una buona parte di Pignoletto. Ho deciso di andare a cercare i vitigni che fossero più adatti al territorio e quindi più resistenti e ho iniziato ad innestare Negretto, Alionza, Albana e Malvasia, cercando allo stesso tempo un’idea di agricoltura che mi consentisse di esprimere appieno il frutto e il territorio.
La biodinamica è un metodo – che si rifà al modo di lavorare la terra che abbiamo usato per millenni – che si focalizza sul lavorare la terra, lasciando a disposizione delle piante tutti i nutrienti di cui hanno bisogno.
Ci aiuti a fare un po’ di chiarezza? Ci spiegavi che tu hai un approccio “laico” alla biodinamica, cosa intendi?
Partiamo dall’agricoltura: io ho una formazione scientifica, e quando mi sono avvicinato all’agricoltura ho prima cercato di imparare, e poi ho iniziato a capire che nella biologia, in generale, abbiamo bisogno di un po’ di umiltà. Cercare di spiegare tutto scientificamente è un’utopia: è importante cercare sempre una ragione scientifica, studiare e conoscere, ma dobbiamo accettare una piccola parte che non controlliamo.
Quando si parla di biodinamica si parla di osservazione, piuttosto che imposizione delle regole, e la parola “dinamica” indica proprio l’osservazione dei ritmi sempre diversi della natura. Si tratta di recuperare una sensibilità ormai persa nel fare agricoltura.
Oltre all’etica agricola, la biodinamica viene spesso associata a riti quasi “sciamanici”, tipo i preparati come il cornoletame, ci spieghi questa parte?
Solitamente sono l’ultima cosa di cui parlo, anche perché è la parte della biodinamica che ho digerito più difficilmente. Anche qui ho usato un approccio molto pragmatico, mi sono detto: la uso, se funziona, continuo ad usarla, altrimenti no. Continuo a non spiegarmi tutto al 100% però!
Per me rimane comunque importante capire i ritmi, capire quando potare, quando lasciar stare le piante e osservare sempre. Biodinamica significa lavorare 365 giorni all’anno, considera che il preparato noi lo diamo 4-5 volte all’anno, non può essere la parte di cui si parla di più.
Spiegheresti a chi ci ascolta cos’è un preparato?
I preparati di cui Steiner parlò nelle conferenze del 1924 si differenziano principalmente in 2 preparati: il 500, e il 501 anche detto cornosilicio. Vengono dati in momenti diversi, e si tratta di prendere del letame, metterlo dentro a un corno e lasciarlo sottoterra per 6 mesi. Vi giuro che quando lo tirate fuori quel letame si è trasformato: non puzza, sembra pongo… È humus puro. Alla fine quello che tu porti nel terreno è un modello, un’informazione. La biodinamica non apporta materia, si cerca solo di stimolare dei processi naturali.
Scriviamolo in grande: la biodinamica la applichiamo non per motivi di fede, ma di gusto! Siamo convinti che avremo dell’uva fortemente legata al territorio, e quindi ci darà un gusto diverso (non solo l’uva).
Visto che stiamo parlando di gusto, apriamo la prima bottiglia!
Il Plus è un sur lie di Pignoletto e Alionza, molto fresco e con un’acidità sostenuta. Non è un Pet Nat, potremmo chiamarlo Ancestrale ma è un nome un po’ ambiguo. A casa mia l’Ancestrale era quel vino che non finiva la fermentazione prima dell’inverno, e poi andava in bottiglia. È la prova che si può fare un rifermentato con una pressione da spumante, questo è un 2014, quindi 5 anni sui suoi lieviti.
Ricordiamo con affetto anche il Pignoletto Frizzante di Federico, è uno dei primi vini che ci ha cambiato l’approccio al vino.
È un Albana e Pignoletto fatto in anfora, il primo era veramente hardcore. Le prime 300 circa bottiglie le abbiamo vendute da voi, solo a Venezia.
Si, principalmente autoconsumo! Invece, cosa ne pensi degli enti di certificazione?
È una domanda scomoda! Le certificazioni nel biodinamico sono complesse. Noi siamo certificati bio e abbiamo un marchio per la biodinamica, ma non li mettiamo sull’etichetta. Diciamo che non lo usiamo come strumento di marketing, per me è più importante che persone come voi raccontiate ciò che facciamo ogni giorno.
Per la biodinamica in particolare ritengo che sia importante impostare un lavoro di gruppo, una certificazione partecipata, cioè un gruppo che lavora per escludere le “mele marce” perché vanno a danneggiare tutto il gruppo.
L’unica cosa che ho tenuto sono le DOC e DOCG. Non avrei nessun contraccolpo commerciale dall’uscita dalla DOC, ma noi siamo già in un territorio un po’ sfigato, se poi non lavoriamo assieme, diventa controproducente.
Dicci due parole sul vino che stiamo bevendo adesso invece!
Malvasia macerata e Pignoletto del 2018 con 2 mesi e mezzo di macerazione in anfora georgiana. Qui sentiamo il gioco tra la spina acida della Malvasia e la dolcezza del Pignoletto.
Cosa consiglieresti ad un vignaiolo che vuole convertirsi in biodinamica?
Io non gli consiglierei mai di convertirsi in biodinamica, gli chiederei piuttosto qual è il suo obiettivo. Se vuole fare un vino legato al suo territorio, sì, gli direi che il mezzo giusto è la biodinamica, usando lieviti indigeni e fermentazioni spontanee ed evitando filtrazioni, chiarificazioni eccetera.
Eccoci all’ultimo vino, la Posca Bianca, che ha pure il tappo di vetro!
L’idea parte dal vino perpetuo: i contadini in passato, per cercare di dare continuità, rabboccavano continuamente per avere sempre un “prodotto medio”, che fosse costante. Questo vino l’ho iniziato nel 2011, quindi ci sono 9 annate, e voglio rappresentare il nostro terroir lungo le annate. È un concetto molto simile al lievito madre, e in realtà il vino cambia sempre!
È arrivato il momento di salutarci, ma prima vogliamo sapere qual è il tuo messaggio ai bevitori!
Cercate di lasciarvi andare al vostro istinto. Il vino che bevete e di cui finite la bottiglia è di fatto il vino che vi piace, è il vino buono! Anch’io ho fatto il corso AIS dei sommelier (pensa che dalla mia classe sono usciti 5 vignaioli), e quindi al di là di tutte le seghe mentali che possiamo farci sul vino, ma anche per il cibo, cerchiamo di riprendere quella sensibilità per capire cosa il nostro corpo vuole e desidera.
Pignoletto Frizzante Sui Lieviti →