Ascolta “Ep. 09 – Soavemente con Andrea Fiorini” su Spreaker.
Ospite d’eccezione per questa nuova puntata di GMSS: The one and only Andrea Fiorini, Instancabile creativo del vino e mente & cuore dietro al progetto GARGANUDA.
Andrea ci racconterà di come si e’ avvicinato al mondo del Vino Naturale e di come le sue esperienze siano culminate in un progetto vitivinicolo che si vuole “riappropriare” di uno dei grandi terroir veneti, il SOAVE.
È la prima volta che arriviamo alla nona puntata di qualcosa, ma soprattutto è la prima volta che abbiamo un vignaiolo come ospite: il grandissimo Andrea Fiorini Carbognin di Garganuda!
Come stai Andrea?
Abbastanza bene, anche se vengo da un intervento chirurgico che ahimè mi ha tenuto lontano dal lavoro in vigneto, però ho fatto gran passeggiate e ho accarezzato spesso i miei grappoli.
Perché non ci racconti un pochino di te?
Nasco a San Bonifacio in provincia di Verona. I Veronesi di città dicono che sia ‘al confine, ma dalla parte giusta’. Vengo da una famiglia di viticoltori, infatti sia il nonno Luigi che il nonno Mario mi hanno lasciato questa dote della vigna nel DNA. Nonno Luigi piantò il primo vigneto nel 1968, che è stato venduto solo 2 anni fa e che per poco non sono riuscito a riacquistare.
Aveva piantato la vigna per fare il vino per un ristorante (e per la famiglia). Erano 5000 metri su zona vulcanica, basalto rosso e nero vitati a Garganega e Durella. Il nonno Luigi lo chiamava il Vino Botanico. La cosa interessante era proprio la presenza della Durella nel vino, che lo rendeva particolarmente verticale.
E i tuoi vigneti invece?
Quello che adesso è il vigneto di Garganuda Madre era un tempo il vigneto di nonno Mario, anch’esso vitato negli anni ‘70.
È il Val d’Alpone, vicino a Soave, che è un terreno incredibile perché nel versante est troviamo basalto, quindi terreno vulcanico, mentre il versante ovest è un terreno calcareo a fondo marino. La Garganega nei 2 terreni si esprime in modo completamente diverso. Personalmente mi ritengo una persona vulcanica, e si riflette anche nei miei gusti personali: anche se stimo molto i vini Soave da suolo calcareo, non suonano le mie corde enoiche come quelli da terreno vulcanico.
Ti abbiamo invitato qui perché sei uno dei pochi, purtroppo, interpreti di questa nouvelle vague del fare vino che nasce un po’ come controriforma, specialmente in una zona complicata come quella del Soave. Ci aiuteresti a fare un po’ di chiarezza?
È una linea di pensiero che sta prendendo piede non solo a Soave, ma in tutto il Veneto.
È un movimento che è nato secondo me perché siamo arrivati a metà di questo decennio un po’ stanchi a livello gustativo. Pensa che per studiare il territorio di Soave mi sono trasferito lì e in 3 anni ho visitato TUTTE le cantine della denominazione – circa 150 – dove si producono quasi 50 milioni di bottiglie.
Tuttavia, quella voglia e curiosità con la quale sono partito è andata via via diminuendo: non ero più curioso di bere Soave.
Come ti sei avvicinato al mondo del vino?
Non è che mi sono avvicinato al mondo del vino: i miei nonni lo facevano entrambi, come faccio a non bere vino?! È una passione fin da quando ero giovane.
Si, ma come ti sei avvicinato al mondo del vino naturale?
Dopo quest’esperienza a Soave mi sono allontanato dai vini bianchi perché ero stufo, e mi sono un po’ avvicinato alle bollicine autoctone, la Durella in particolare.
10 anni fa erano 10-12 le aziende che producevano Durella, e per caso mangiando in un ristorante ho visto una bottiglia che non conoscevo dal nome stranissimo: Omomorto di Menti. Chiedo al maître, ma purtroppo era finito. Mi disse in dialetto: ‘sto Menti l’è sempre sensa vin. La settimana dopo mi sono fiondato a Gambellara e finalmente riesco ad assaggiare Omomorto: io e mio padre, che beve Durella da una vita, siamo solo riusciti a commentare: “ma questa roba qua cos’è?”. Siamo stati catapultati su un altro pianeta.
Stefano Menti mi ha fatto capire cosa significa BERE IL VULCANO. Tutto ciò che avevo perso a Soave, lo ho ritrovato a Gambellara. È grazie a Stefano Menti che è nato il progetto Garganuda.
Ma Garganuda la posso bere anche vestito?
Guarda, secondo me va bevuta con i pantaloni ma a petto nudo. E devi metterti anche l’olio Johnson per risultare più lucido.
È arrivato il momento di stappare un Garganuda Soave 2018, la sete non perdona.
Come vedete, anzi come non vedete voi dal monitor del vostro cellulare, il vino è leggermente velato. Filtrare un vino per me è come fare l’amore col preservativo. È bello, lo fai, ma c’è sempre qualcosa che manca. In questi anni ho imparato che qualsiasi cosa che fai in più al vino, è ridondante, non c’è niente da fare.
Garganuda infatti è l’unione di due parole: Garganega e Nuda, proprio perché non c’è nient’altro di aggiunto, se non una piccola quantità di solfiti, perché ogni anno a Gennaio portiamo il vino alla commissione disciplinare per farlo diventare Soave.
Questo è interessante: siamo abituati a sentire storie di vignaioli naturali che fanno fatica, o comunque hanno un grosso attrito con questi panel per ottenere le denominazioni di origine, tu invece?
Noi l’abbiamo presa fin dall’inizio: nel 2015, il primo anno, pensavo che non me l’avrebbero mai passato. Era troppo lontano da quelli che sono i gusti del Soave. Mi ricordo che ero in Francia da Bertrand Jousset quando mi arrivò la telefonata dalla commissione per dare il nulla osta. È stata un’emozione unica perché non avrei mai pensato di farcela. Sai, porti un vino con pochissima solforosa (circa 30 mg/l), con un gusto nuovo e che non era stato stabilizzato, filtrato o chiarificato. Cioè, sono riuscito a portare la mia idea di vino in una DOC da 50 milioni di bottiglie! Tra l’altro sono stato il primo nel territorio di Soave a fare agricoltura biodinamica.
Come è stato visto l’ottenimento della DOC?
Guarda, sono stato attaccato spesso da persone che mi dicevano: tu vuoi fare tanto il vinnaturista, l’estremista, e invece fai il vino burocratico. Io sono di un’idea diversa, la vera rivoluzione è questa, entrare in una disciplinare con la mia idea di vino. Anche se la mia scelta non è stata sempre capita, soprattutto dai miei colleghi di Soave, di fatto Garganuda ha aperto la strada: a Soave Versus, una manifestazione a Verona, ho contato ben 6 aziende che lavorano con fermentazioni spontanee.
Quindi dici che il Soave come zona sia ben disposto verso un certo modo di fare vino?
C’è un movimento di persone che hanno iniziato a fare qualcosa di diverso. È un territorio talmente ricco che per forza doveva accadere una cosa del genere. La mia vittoria personale è che finalmente vedo succedere questo cambiamento, vignaioli che lavorano in sottrazione, che ti fanno bere la loro uva, il loro suolo.
Hai altri tuoi colleghi da consigliare?
Gini, Filippi, Mosconi, Zambon, Cascina Albaterra per dirne alcuni.
Quindi, se un giovane si volesse avvicinare al mondo del vino, cosa gli consiglieresti?
Mi ritengo troppo umile per dispensare consigli, però lo inviterei a fare 4 passi nel vigneto con me nelle 4 differenti stagioni. Parte tutto da lì.
Un grazie ad Andrea Fiorini per la bellissima chiacchierata e per produrre vini fantastici.
TASTE THE VOLCANO