Oggi abbiamo un ospite d’eccezione: gestisce l’Osteria Il Cicchetto dal 1986, ma non è solo ristoratore. Infatti è anche il responsabile di cantina dell’Associazione culturale Laguna nel Bicchiere – Le vigne ritrovate. Ecco a voi Simone Salin!
Se ci vuoi spiegare di cosa si occupa l’associazione, siamo tutt’orecchi!
Per spiegare lo spirito dell’Associazione bisogna aprire la bottiglia!
Assaggiamo un vino bianco del 2018 fatto con le uve dell’isola di San Michele, dove sorge il cimitero di Venezia.
L’associazione gestisce vigneti a San Michele, a Malamocco, a Sant’Elena, alla Giudecca e alle Vignole. Nelle annate più produttive cerchiamo di vinificare separatamente le uve delle varie isole.
Io faccio parte dell’Associazione dal 2010, ma Laguna nel Bicchiere nasce nel 2008 con l’intento di recuperare il paesaggio agricolo veneziano che rischiava di andare perso.
Ode a Flavio Franceschet
L’associazione è nata per merito di Flavio Franceschet, professore di educazione tecnica all’istituto Calvi di Venezia. Inizialmente conduceva quest’attività in maniera parallela al lavoro, poi, una volta pensionato, l’ha trasformata in un quasi impegno a quasi tempo pieno.
Flavio, che è mancato qualche anno fa, era fortemente inserito nel tessuto sociale di Venezia e ha scoperto che numerose chiese delle isole della laguna continuavano a prodursi il vino da sole come una volta. Ha iniziato ad assaggiare le varie produzioni, ha visto che c’era una ricchezza di tradizione che da fuori non ci si immagina.
I frati della chiesa di San Michele sono stati richiamati dalla Curia e l’orto è passato in mano al Comune. Flavio ha colto l’attimo e si è fatto dare l’usufrutto di questo spazio per portare avanti il lavoro dei frati. Da li è nata l’associazione da un punto di vista operativo.
A San Michele, c’è una cantina del 1600 dove ci sono ancora botti e attrezzature dei frati che non usiamo, ma che danno la misura di quanto radicata sia la tradizione del vino in laguna. Questo posto ha delle caratteristiche speciali che non sono replicabili, e anche se noi facciamo il vino coi piedi in tutti i sensi, il vino viene fuori buono.
Quello che stiamo bevendo è il San Michele bianco ed è un uvaggio di glera, malvasia e dorona veneziana. Nel vigneto però ci sono più tipologie di vitigno e stiamo cercando di dare un nome a tutte, grazie all’aiuto degli agronomi dell’Università di Padova. Le vigne sono storiche, ci si trova davanti a varietà mai viste prima. Dopo la prima visita, i nostri amici dell’Università si sono accorti che lo sviluppo della vite è molto strana: ci sono parti della pianta che sembrano molto giovani e parti della stessa molto vecchie. Secondo loro è possibile che, per adattamento, queste viti si siano evolute come dei bonsai, e sono invecchiate mantenendo dimensioni ridotte.
Ci sono probabilmente sette o otto uve diverse solo a San Michele. Ci sono anche viti a piede franco, e secondo quello che diceva l’agronomo possono essercene anche di centenarie.
Tutte le isole della laguna sono sabbiose, non favoriscono il proliferare della fillossera, mentre l’acqua della laguna influisce in modo negativo perché le piante che subiscono l’acqua alta pescano troppo sale. Quindi il sale sì conferisce sapore, ma se è troppo uccide la pianta. É un ecosistema delicato che genera un equilibrio altrettanto vulnerabile.
Riduzione… di intervento.
Noi i vini li facciamo ad occhio e croce, non abbiamo attrezzature tecniche e soprattutto abbiamo poco tempo, si fa quel che si può con quel che sia ha.
Il mio obiettivo è quello di portare meno difetti tecnici possibili, ma di solito ce n’è sempre qualcuno.
Poi ci sono le annate eccezionali come il 2018 quando non abbiamo avuto difetti e abbiamo prodotto tanto vino, o quelle che vanno malissimo: nel 2019 ne abbiamo fatto poco vino e pure cattivo.
I nostri vini hanno sempre un po’ di riduzione perché cerchiamo di non aggiungere anidride solforosa, se siamo costretti stiamo sempre sotto i 40mg/l. La riduzione aiuta il vino a vivere senza solforosa quindi ne tengo sempre un po’ per stabilizzare il vino.
Faccio fare un’analisi all’anno del vino, se capisco che ci sono valori di volatile pericolosi allora intervengo, per evitare che il vino che diventi aceto.
Nel 2015 ho provato a far partire la fermentazione col pied de cuve, ma questa tecnica comporta il doppio del lavoro e non mi ha dato un riscontro positivo, quindi non la ho più fatta. La fermentazione a San Michele parte subito, non ha senso lavorare doppio.
Quest’anno abbiamo raccolto un rosso al 10 di ottobre, e lì a causa della temperatura più fredda la fermentazione è partita dopo due giorni, ma di solito parte facilmente. La cosa che mi ha stupito da quando sono entrato nell’Associazione è che da un posto non vocato per fare vino che un’isola con un terreno sabbioso, a volte escono dei vini fantastici. Forse si potrebbe fare vino dappertutto.
Quanto le dinamiche di vendita influiscono sulla scelta di fare vino naturale?
Non è tanto la questione della vendita, è tanto la questione della dimensione delle masse che si lavorano e delle condizioni della cantina che si ha a disposizione.
Se muovi piccole masse solitamente non si pongono problemi di interruzione di fermentazione, se invece ne hai di grandi hai bisogno di più attrezzature ed è più difficile fare il vino spontaneo.
In più c’è la questione dell’igiene, più la cantina è asettica più è difficile che la fermentazione parta da sola.
Per mettere dei vini in commercio però, bisogna avere una cantina tirata a lucido, ma se la cantina è un ambiente chirurgico si perde tutto quel corredo che consente alla fermentazione di partire spontaneamente.
Ultima domanda sulla vinificazione, nei i vostri vini c’e sempre macerazione.
Sì, vinifichiamo sempre in rosso anche le uve bianche, siccome possiamo lavorare solo il weekend facciamo il lavoro di mostatura in un fine settimana, e la svinatura quello successivo. La macerazione è di una settimana semplicemente perché questo è il tempo che trascorre fra le due operazioni. Diciamo che facciamo di necessità virtù.
Io lavoro di pancia e di bocca, l’uva va selezionata perché molta tende al marciume, poichè le vigne sono murate e non gira aria.
Una volta selezionata viene pulita. Viene pigiata sul graticcio o coi piedi, lasciamo partire la fermentazione e passa una settimana prima della svinatura. In base a come si comporta il mosto decido cosa fare, ma la regola base è meno si tocca meglio è.
Finché il vino non manifesta dei problemi io non intervengo, e se devo intervenire mi limito ad effettuare dei travasi.
Imbottigliamo da giugno a luglio, sono contrario all’imbottigliamento ad aprile. I vini devono maturare di più in botte, non abbiate fretta!
Aspettare il vino vuol dire rispettarlo!
La prima caratteristica del vino dovrebbe essere la beva.
Senza etichetta
Apriamo il secondo vino che non ha etichetta.
Non ha etichetta perché è la cuvée dei fondi che rimangono in tutte le botti in seguito ai travasi. I fondi vengono a loro volta fatti decantare in maniera che le fecce si depositino e la parte di vino pulito che rimane viene imbottigliata.
Nello specifico stiamo bevendo la cuvée 2018 delle botti di San Michele, delle Vignole e di Malamocco. Anche questa è un colpo di fortuna, una fortuna grande.
Ricordiamo che siamo gemellati con le vigne di Montmartre a Parigi. Vorrei tornare sull’idea di vigna urbana. Che futuro ha quest’associazione?
Invito tutti gli ascoltatori ad associarsi perché Le Vigne Ritrovate hanno difficoltà ad autosostenersi (anche perché gli associati si bevono gran parte del vino prodotto e quindi è impossibile venderlo…)
Associandovi potete fare un’offerta, verrete invitati a lavorare nelle vigne, per coinvolgervi nelle attività e capire appieno la natura dell’associazione. Si tratta di un recupero operativo effettuato tramite le persone, non di un giro turistico per le isole della laguna. Spesso e volentieri chi si iscrive poi ritorna a lavorare nella vigne, perché la nostra è una situazione di lusso, un’esperienza incommensurabile di vita e socialità.
Il vitigno autoctono è la dorona veneziana…
La dorona fa parte della famiglia delle garganeghe ed era praticamente quasi scomparsa. È tornata sotto i riflettori grazie all’operazione commerciale condotta da Bisol a Venissa sull’isola di Mazzorbo, ma colui che l’ha salvata è Gastone Vio nelle sua vigne a Sant’Erasmo. Si chiama dorona in riferimento al colore.
Vorrei però specificare che più che l’uva singola, per i vini di Venezia conta la commistione fra i vari vitigni.
È per questo che a San Michele produciamo vini buoni, ci sono tante varietà di uva che si bilanciano assieme: garganega, glera, malvasia, dorona e bianchetto. La qualità risiede nella varietà.
L’associazione produce anche vino rosso?
Le uve rosse le avevamo dai Carmelitani Scalzi vicino alla stazione e abbiamo attualmente un vigneto di uve sono Merlot, Cabernet Franc e Lambrusco alla Giudecca. Da queste produciamo il Rosso Gnecca.
Da quest’anno abbiamo il vigneto delle uve di Sant’Elena. Fare il vino rosso in laguna non è facile, perché se l’uva rossa non matura bene il vino esce duro e molto tannico.
A riguardo delle maturazioni c’è da dire che la biodiversità di ogni isola influisce molto: ad esempio il vino di Malamocco è diverso rispetto agli altri perché le vigne subiscono l’influsso del mare oltre che della laguna, infatti la gradazione alcolica arriva fino a 14%. I vini prodotti all’interno dell’ecosistema lagunare invece hanno quasi sempre gradi più bassi.
Quello che amo dell’associazione è che siamo tutti appassionati ma nessuno di noi è un tecnico, non si va tanto per il sottile. Il vino viene apprezzato, di raro analizzato e da lì deriva il piacere di gustare quello che produciamo: un vino umile e condivisibile da tutti, da amare per quello che è cioè una ombra de vin!