L’ospite di oggi è una persona speciale, Dario ci lavora insieme da qualche anno. Giovane produttore di vino sui Colli Berici che ha collezionato numerose esperienze all’estero, per poi ritornare in patria con quell’idea di vino giusta. La condividerà con noi nel corso della puntata. Il meraviglioso Davide Xodo. Raccontaci di te!
Ciao a tutti, benvenuti a Nanto! Io ho studiato enologia a Conegliano e mi sono specializzato in viticoltura a Torino.
Ho collezionato esperienze in Toscana, in Francia e in Spagna. Ho lavorato per una grande azienda nel Chianti classico. Poi, tre anni fa, sono tornato a Vicenza perché desideravo tantissimo aprire la mia attività.
Tu rappresenti un’eccellenza per il territorio e dai valore al lavoro che viene fatto in cantina, oltre che a quello in vigna.
Ci sono un sacco di tecniche di cantina che tu ci puoi descrivere, per fare chiarezza nel mondo dei vini naturali, vivi.
La puntata quindi verterà sulle tappe della vinificazione che caratterizzano la produzione di vino naturale e che la distinguo da quella convenzionale.
Il primo passo dell’enologia è selezionare l’uva molto bene.
Portare in cantina uva SANA e al giusto momento della vendemmia è la conditio sine qua non per fare un buon vino.
Il grado di maturazione dell’uva dipende anche da che vino si ha in mente di produrre, a volte si può raccogliere dell’uva non del tutto matura, ma nell’80% dei casi è fondamentale raccogliere il frutto quando è pronto.
Quali sono i passaggi necessari quando porti l’uva in cantina?
Far partire la fermentazione è il primo step. L’enologia del naturale non utilizza i lieviti selezionati, ma può scegliere tra due tecniche: il pied de cuve o la fermentazione spontanea. Il primo consiste nell’aggiungere una piccola quantità di mosto di uva del proprio vigneto che sta già fermentando, questo per essere sicuri che la fermentazione parta e per renderla più costante.
Nel mio caso, uso il pied de cuve per far partire la fermentazione e la fermentazione spontanea da metà vendemmia in poi, quando ho già masse che vanno, e vanno bene. La fermentazione consiste in una staffetta di più ceppi di lieviti che portano al grado zuccherino zero.
Io all’inizio uso il pied de cuve perché la mia cantina è relativamente recente e quindi non ci sono molti lieviti nell’ambiente che favoriscano la partenza della fermentazione, ma poi prediligo la fermentazione spontanea perchè lavora con tanti ceppi di lieviti e quindi conferisce sicuramente più complessità al vino.
I lieviti indigeni aggiungono unicità, tipicità, rispecchiano il territorio, riportano il carattere del luogo.
Una volta iniziata la fermentazione ci sono due strade..
Utilizzo il controllo della temperatura oppure no?
L’utilizzo del controllo della temperatura è una tecnica che serve ad indirizzare la fermentazione dal punto di visto aromatico e serve per evitare alterazioni microbiologiche. L’utilizzo del freddo serve a stabilizzare il vino, ma anche ad estrarre dei sentori che altrimenti rimarrebbero nascosti. Famiglie di lieviti fatte lavorare a temperatura più bassa danno origine a famiglie di aromi completamente diverse rispetto a quelle che producono con temperature più alte.
Il controllo della temperatura permette anche di evitare quasi del tutto o del tutto l’utilizzo della solforosa.
Il vino non si fa da solo, basta scegliere come farlo. Puoi scegliere se stabilizzare il vino con la solforosa o con il controllo della temperatura, dipende da te e dal tuo progetto vino.
Chi non interviene in cantina rischia spesso di ottenere un prodotto non stabile e di buttare via il lavoro fatto.
Durante la fermentazione, il vino viene travasato, spesso mosso.
Ogni volta che si muove un vino si può scegliere se proteggere il vino dall’ossigeno, oppure no.
L’enologia convenzionale lo protegge utilizzando metabisolofito (solforosa), mentre nell’enologia naturale si protegge il travaso con l’utilizzo di gas inerti che evitano l’ossidazione. Si riempie il serbatoio con questo gas e poi si riempie con il mosto, senza metterlo a contatto con l’ossigeno.
Se il vino ha bisogno di ossigeno invece non si usa niente e si lascia che avvenga il contatto con l’aria.
Ci sono anni in cui ho fatto travasi coperti e anni in cui li ho fatti tutti scoperti perché sentivo che il vino ne aveva bisogno.
Il contatto con l’ossigeno in affinamento non va assolutamente demonizzato, ma va usato quando serve e controllato.
Il vitigno autoctono per eccellenza di questa zona è il tocai rosso.
Il Tai rosso è un clone della Grenache. Chi ha vigne vecchie come me ha la fortuna di avere dei cloni vecchi anche di cento anni che ormai si sono adattati perfettamente, mentre in questo periodo circolano cloni francesi che sono stati selezionati per un altro territorio e danno vini diversi, spingono un po’ più di alcol.
Un Tai rosso di 30, 40 anni è un po’ più leggero e meno alcolico.
Il Tai rosso cresce solo qui e per altro si produce sempre meno perché non ha un grande seguito a livello di mercato, spesso sono state tolte delle vigne meravigliose in collina a discapito del Tai rosso per piantare vitigni più commerciali.
Ricordiamo anche che essere sostenibili conviene anche economicamente.
È ovvio che in un’ottica di ambiente pulito meno tecnologia si utilizza, meno elettricità, meno gasolio usi in vigna più sei sostenibile
Cos’è la fermentazione malo-lattica?
Non è altro che la trasformazione dell’acido malico in acido lattico, che avviene a seguito della fermentazione alcolica.
Al contrario di quest’ultima, non avviene ad opera di lieviti, ma grazie a batteri lattici. Ha la caratteristica di arrotondare il vino perché l’acido lattico è meno acido di quello malico.
Serve ad ammorbidire, ma anche a stabilizzare: l’acido malico é è facilmente attaccabile da microorganismi che possono causare problemi all’interno della bottiglia, oppure può fermentare producendo Co2. Non è la cosa peggiore che può succedere, ma se si può evitare, meglio.
La filante (alterazione batterica che rende il vino oleoso) e il surin (avviene ad opere di batteri lattici e dà deviazioni aromatiche importanti) sono riconducibili a batteri lattici.
La malo-lattica quindi rende il vino più stabile. Anche questo passaggio può essere gestito con il controllo della temperatura o tramite delle analisi per capire se è stata svolta o meno.
Per me il vino naturale deve fare la malo-lattica, non fargliela fare è un rischio. Poi ovviamente ci sono le eccezioni, tipo vini con acidità alta e ph basso che già di natura non fanno partire la malo-lattica, quindi è inutile forzarla.
L’analisi dell’uva e del vino sono fondamentali per l’enologia naturale, sarebbe molto romantico mettere l’uva in un tino e farla fermentare senza mai intervenire, ma non è così!
Il sostenitori del vino convenzionale criticano i produttori naturali perché pensano che abbiano abbandonato ogni sorta di rigore.
Non è così, solo ci avvaliamo di una tecnica enologica che rispetta e esalta il territorio allontanandosi dall’enologia convenzionale.
Dalla convenzionale ho imparato il rigore e la pulizia, che sono fondamentale in cantina, visto che creiamo prodotti alimentari, e per evitare le deviazioni batteriche. Ma poi bisogna prendere la misura e applicare la tecnica in maniera rispettoso della materia prima e del territorio.
Ad esempio, una delle differenze fra enologia convenzionale e naturale è che la prima chiarifica il vino; per me è equivale a togliergli l’anima.
I miei vini sono puliti anche se non chiarifico, ma questo perché pongo attenzione nella fase del travaso. Il vino è opaco perché ci sono particelle in sospensione, se queste si fanno depositare e non si muovono durante i travasi il vino esce chiaro. Si lasciano in vasca gli ultimi dieci litri (che ovviamente non vanno buttati, si bevono fra amici) e il resto è pulito, ma non filtrato.
I vini in bevustazione:
Garganegade 2019 di Davide Xodo
Tai rosso 2019 di Davide Xodo