Ascolta “S2E1 – Ais, Ais Baby! con Graziano Simonella” su Spreaker.
Inizia la seconda stagione! Il nostro ospite è nientepopodimenoche Graziano Simonella, membro della delegazione AIS Veneto, responsabile scuola concorsi, già Presidente AIS Veneto, membro della giunta esecutiva nazionale e sommelier professionista dal 1981.
Oltretutto la sua voce è talmente suadente che è stata definita “la voce che sbrega łe mudande”.
È per noi un momento storico, lo sbarco sulla luna. Un piccolo passo per un podcaster, un grande passo per un’associazione di sommelier.
Possiamo finalmente tediare Graziano con una serie di domande sullo spinoso argomento del vino naturale.
Non capita spesso di fare dibattito riguardo a questo argomento, vero Graziano?
Intanto premetto che spero che la mia presenza qui non comprometta il mio percorso in ambito associativo!
Una fantastica premessa! Come ti posizioni tu sul binomio naturale/convenzionale?
Faccio fatica a scindere il naturale dal convenzionale. La mia attenzione personale e didattica è rivolta al percorso che parte dall’analisi di un territorio e che culmina nell’analisi di un prodotto all’interno di un calice. Personalmente ritengo anche molto importante capire come un certo vino si posiziona all’interno di una proposta gastronomica.
La differenza che vedo, invece, è nell’analisi organolettica: qui ci possiamo trovare in percorsi decisamente differenti, che a mio parere devono confluire in un unico obiettivo finale, quello dell’eleganza e della piacevolezza.
Amen. Noi personalmente siamo contro gli estremismi da una parte e dall’altra, perché abbiamo visto che hanno fatto solo danni, portando ad un impoverimento culturale per tutti. Qual è la tua posizione? Come si conciliano i due “mondi”?
Il problema fondamentale di questa diatriba, specialmente per quanto riguarda la parte didattica, è non avere un riferimento preciso come una disciplinare di produzione, che aiuta il riconoscimento immediato di un prodotto.
Negli ultimi anni la proliferazione di simboli che riportano al mondo del biologico o del biodinamico, le varie fogliette, api, stellette che vanno a simboleggiare l’appartenenza ad un certo processo produttivo hanno da una parte, in maniera illusoria, a portare il consumatore ad avvicinarsi ad un certo tipo di prodotto.
La mia domanda è: se chi certifica i prodotti fa parte di una struttura che produce, come può esserci una tutela nei confronti del consumatore? Ci sono anche situazioni in cui questo viene fatto in maniera attenta, precisa e professionale, però molte volte si verifica un meccanismo che vede colpevoli sia i produttori naturali che i produttori convenzionali: il voler rincorrere il mercato ad ogni costo. Nel voler rincorrere il mercato si sono fatti danni sia nel mondo dei vini convenzionali che nel mondo dei vini naturali.
Per l’occasione abbiamo portato 3 vini naturali che possano mettere d’accordo un po’ tutti, il primo che assaggeremo è il Vespaiolo di Rarefratte.
Secondo i canoni della didattica AIS, se guardiamo prima di tutto al colore di questo vino, a primo impatto direi che ci troviamo davanti ad una densità colorante importante e inusuale rispetto ai vini convenzionali.
È un vino che presenta una lieve ossidazione, ma chi ha detto che l’interazione con l’ossigeno abbia sempre un apporto negativo? In questo caso, quello che mi porta a valutare anche al naso questo vino è la vivacità del colore. La densità cromatica non è frutto di un’ossidazione sconsiderata, ma di un lavoro fatto abilmente, che ha tutelato anche una parte della freschezza.
Il naso mi dice frutto maturo, di grande piacevolezza. In bocca capisco che non è un vino convenzionale perché assieme a quelle che sono le normali letture dei descrittori, che parlano di floreale, fruttato, leggermente speziato, con note leggermente balsamiche, c’è un’evoluzione che è data da una concentrazione del frutto che esprime il vitigno.
Quali sono secondo te gli elementi che determinano la “naturalità” in un vino?
Si parte dalla cura del vigneto e dall’attenzione alla preservazione del territorio. Per quanto riguarda la lavorazione in cantina, il limite dell’uso della solforosa è sicuramente il fattore più importante.
Tuttavia, ci tengo a sottolineare che non è che naturalmente TUTTO venga buono… Mi è capitato di trovare dei messaggi non sempre puliti o piacevoli, e questo fa parte di imperizie produttive, improvvisazione o scelte sbagliate. Ci vuole consapevolezza e preparazione per fare un buon vino.
Che ruolo gioca la tecnologia, e quanto distingue i due “mondi”?
La tecnologia serve a creare un prodotto che abbia appetibilità sul mercato e che risponda alle aspettative dei consumatori. Per quanto riguarda il vino naturale, è molto importante formare i consumatori, che è un po’ quello che state facendo, perché comunque non possiamo buttare la tecnologia alle ortiche: va usata in maniera attenta e accorta, senza sovrastare o modificare il lavoro fatto in vigna e in cantina, e che porti il messaggio di un territorio, di un microclima e di un vitigno.
Il mercato assorbe in maniera importante i prodotti “convenzionali”, e molto spesso questi prodotti sono fatti molto bene. L’importante è che il consumatore sia consapevole che questo percorso sia un salubre, ben fatto, nel quale alcuni aspetti, specialmente nella grande produzione, vengono un po’ indirizzati e addomesticati.
È un percorso più facile?
Mah, spesso è un percorso impegnativo e costoso. Con i brividi alla schiena ho scoperto poco tempo fa che un noto produttore della Franciacorta da un paio d’anni lava le uve prima di portarle in fermentazione. Mi sono fatto spiegare il perché, e ha alla base anche motivazioni salutistiche, però mi ha lasciato decisamente perplesso. L’importante è che l’uso della tecnologia non contribuisca a far perdere l’anima del vino.
Secondo te, ad oggi, una scheda AIS, dovrebbe essere differenziata, o dovrebbe essere integrata?
Il percorso analitico-descrittivo del vino, mi permette di capire e analizzare correttamente il prodotto attraverso l’uso di una terminologia codificata.
Per esempio, quando guardo il colore del vino, la densità cromatica può essere determinata da vari fattori: il vitigno per esempio, oppure il territorio (più caldi o più freddi), o anche l’interazione con l’ossigeno e la luce vanno a modificare il colore. Dà anche un’idea dello stato di conservazione del vino.
Quindi non per questo devo necessariamente modificare la scheda, ma devo solo analizzare con cognizione di causa ed esperienza. Le ore/ombra, un po’ come i piloti di linea.
Per esempio, nel vino che stiamo bevendo adesso – il Cinque Terre di Possa – la nota evolutiva è decisamente più importante, dove l’ossidazione è supportata da una luminosità che mi dice che la vivacità del vino è stata tutelata. Anche al naso i profumi non danno una nota di stanchezza, di vecchiaia.
Parlavamo di terminologia: pensi che il vino naturale debba essere comunicato in maniera diversa? O meglio, il lessico classico della sommelieristica è sufficiente?
Sicuramente qualche sfumatura si potrebbe anche inserire per riuscire a descrivere meglio quelli che sono le caratteristiche di alcuni vini. Per esempio, il termine che si usava in passato per definire un vino come il Cinque Terre di Possa era “marsalato”. Il termine può essere corretto se vediamo il Marsala per il grande vino che è, ma spesso è un termine utilizzato con un’accezione negativa, viene normalmente inteso come un difetto.
Anche la velatura nel vino va tenuta in considerazione: la limpidezza non è per forza essere il sinonimo di qualità, anche perché più si filtra, più si perde il patrimonio aromatico del vino.
La torbidezza, come tutto, va analizzata con intelligenza: può essere la conseguenza di alterazioni o malattie del vino, ma solo in alcuni casi. Anche la weizenbier è spesso torbida, ma non viene certo considerata difettata.
Oltretutto non so se sapete, ma ogni anno premiamo un vino per regione con il Tastevin, ma quest’anno proprio il Liguria è stato premiato un Vermentino non filtrato!
Concludiamo con un rosso, il Valpolicella Superiore DOCG 2016 de Il Monte Caro. Cosa ne pensi di tutti quei produttori, che pur avendo tutte le carte in regola per entrare in una DOC, ne vengono sistematicamente esclusi?
Le denominazioni sono sicuramente importanti dal punto di vista politico, commerciale e comunicativo: da un prodotto appartenente ad una DOC il consumatore si può aspettare certe caratteristiche e un certo livello qualitativo. Tuttavia bisogna stare attenti a non far cadere una denominazione in un cliché di sé stessa, bisognerebbe allargare le maglie su alcuni criteri di valutazione e ringiovanire i panel.
Parlando invece di questo Valpolicella che mi ha particolarmente colpito: negli ultimi anni la Valpolicella ha ceduto fette di mercato al Ripasso per via della maggiore morbidezza e struttura – chiamiamola “ruffianaggine” -, stravolgendo la realtà del Ripasso, che era una chicca che alcune volte veniva prodotto per rinforzare qualche annata non particolarmente felice. Questo Valpolicella Superiore invece mi riporta al territorio, ad una realtà di 30-40 anni fa. Ha una sferzata di mineralità importante che sostiene questa bellissima ciliegia, con una nota leggermente floreale. Un vino che esprime rispetto per il territorio, con una pulizia al naso incredibile, ma siete sicuri che sia un vino naturale? Anche se non è un termine AIS, posso aggiungere “TANTA ROBA”?
Quali vini naturali “didattici” consiglieresti a qualcuno che si vuole avvicinare a questo mondo?
La Biancara di Angiolino Maule e l’Ograde di Skerk, che abbino su tutto frittelle con la crema escluse.
Rarefratte Vespaiolo →
Possa Cinque Terre 2017 →
Il Monte Caro Valpolicella Superiore 2016 →