Ascolta “Ep. 12 – Il Signore dei Vinelli: Le Due Terre” su Spreaker.
Stavolta a condurci all’esplorazione delle vigne fatate e dei boschi magici dei Colli Orientali del Friuli è Cora Basilicata de Le Due Terre di Prepotto!
Cora, due parole su di te?
Su di me non c’è molto da dire: vengo da Prepotto in Friuli dove aiuto i miei genitori Silvana e Flavio a gestire l’azienda agricola Le Due Terre.
Siamo una piccola realtà familiare dei Colli orientali del Friuli, i miei hanno iniziato quasi 35 anni fa.
I primi dieci hanno hanno lavorato vigne in affitto, senza uscire con una loro etichetta. Questo tempo è servito a mio padre per sperimentare (e risparmiare!) e nell’84 ha aperto Le due terre.
La prima vinificazione è avvenuta in un garage, con vitigni che non erano proprio nelle sue corde: sauvignon e tocai, vinificati in monovitigno.
A Prepotto però si parla tanto di vitigni autoctoni e si parla tanto di rossi, che sono coltivati al 50% e 50%, coi bianchi: tanto merlot, pinot nero, refosco e schioppettino. In parti minori anche pignolo e tazzelenghe, dimenticati perché complicati da gestire.
Il taglio (l’ombra, il bicchiere) di vino che si beveva tradizionalmente nella frasca era il merlot o il friulano.
Da dove deriva il nome dell’azienda Le due terre?
Nasce dal fatto che nei Colli Orientali preponderano due tipi di terreno: la marna e l’argilla.
I miei genitori, nell’89 hanno acquistato la collina dove abbiamo ora l’azienda effettuando un acquisto in due tempi: prima due ettari e poi nel 2003 hanno acquistato un altro ettaro e mezzo. Un ulteriore ettaro e mezzo lo abbiamo preso in affitto, abbiamo quindi 5 ettari totali tutti vicino all’azienda, il che è molto raro poiché i territori sono molto frazionati.
Questo perché negli anni ’50 c’erano solo tre famiglie molto ricche che gestivano i territori tramite coloni (anche il mio bisnonno era uno di loro), quando poi hanno deciso di vendere, i terreni sono stati divisi fra tante piccole aziende, ogni sono tipo una quarantina.
I Colli orientali hanno costruito la fortuna sul loro nome anche se la qualità forse è andata un po’ diminuendo a causa dell’enologia moderna e i vitigni internazionali…
Mio padre invece continua con le solite vecchie metodologie di lavoro, offre il cuore e l’anima del territorio.
Da quando ho 14 anni mi scontro costruttivamente con i colleghi che lavorano in maniera meccanica, per spiegargli perché è importante fare pochi passaggi, ma fatti bene.
Il vino naturale, non so neanche se vada bene chiamarlo così, fa molto affidamento sull’enologia per prevenire ed affrontare i problemi, senza far subentrare la chimica.
Ho fatto esperienze fuori dalla mia azienda, una su tutte presso Ornellaia, dove sono molto interventisti e lavorano moltissimi ettari, in maniera molto lontana da come lavoriamo a Le due terre. Mi è servito per apprezzare ancora di più il modo in cui lavoriamo in casa.
Al contrario, Stefano Novello di Ronco Severo è il mio collega più vicino, cura estremamente la vigna che è il segreto per fare il vino buono. A mio avviso, la cura quasi maniacale è fondamentale: mio papà si approccia alle viti con una sensibilità unica, le conosce una per una, cosa che aiuta poi anche in cantina. Nelle prime pagine dei manuali di enologia c’è scritto che se l’uva è buona, il vino è buono.
Equilibrio tra terroir e personalità del vignaiolo: quanto conta la personalità del vignaiolo, quanto influisce?
A me piace che si senta l’impronta di chi produce il vino, senza snaturare quello che è il territorio d’origine. Mi è sempre piaciuto sentire il profumo della vigna, il vino deve richiamare i profumi del posto dov’è nato, quelli che si percepiscono quando ci si passeggia in mezzo.
Uno dei vitigni più interessanti della vostra zona ha rischiato di scomparire ma è stato recuperato, lo Schioppettino. Vorrei sapere cosa ne pensi.
Lo schioppettino negli anni ’70 era stato rimosso dai vitigni di cui il disciplinare consentiva la produzione, ma nel ’78 è stato reinserito.
C’è sempre stato, mio papà mi racconta dello schioppettino prodotto da suo nonno: si chiama così perché l’acino scoppia in bocca a causa della buccia sottile. Uva bacca rossa, grappolo e acino molto grandi: è un vitigno difficile proprio a causa delle sue peculiarità. In Friuli piove molto, la buccia sottile è più soggetta a muffe in climi umidi, soprattutto se la pioggia arriva a fine maturazione. Ma è un vitigno bellissimo, di grande potenzialità.
Alla fine degli anni ’60 veniva vinificato sia in dolce lasciando sovrammaturare l’uva sia come un rosso scarico poiché non ha grande tannino, ma è reso particolare dai profumi del pepe, della marasca, dei piccoli frutti.
Negli anni ’70 è stato accantonato perché è soggetto ad un virus che rende sterili i tralci: i tralicci ancora verdi si fondono e diventano troppo grossi e non produttivi, non è possibile usarli per la piegatura. Quindi la gestione dello schioppettino è difficile anche a livello vivaistico.
Ad oggi abbiamo circa 40 ettari in tutta la zona, tipo un ettaro a produttore, quindi il recupero sta lentamente avvenendo.
A Le due terre usciamo ogni anno con un blend di schioppettino e refosco, abbiamo prodotto lo schioppettino in purezza fino alla fine degli anni ’90.
Poi, mio padre, che ama le sfide, ha deciso di produrre lo schioppettino nelle annate complicate. Nel 2002 ha provato a vinificarlo in barrique, poi nel 2007, nel 2010 e nel 2014: se ci fate caso sono annate tutte difficili per cause meteorologiche. Ad oggi siamo arrivati a cinque barrique, che escono con un’etichetta diversa rispetto alle altre referenze.
Il mio sogno è che lo schioppettino diventi il mio vino, mi piacerebbe tanto trovarmi un ettaro e poterlo gestire, vinificarlo da sola.
Noi però stiamo bevendo un bianco…
Si è l’unico bianco che lavoriamo: un uvaggio di 70% friuliano e 30% ribolla gialla.
Anche questo blend nasce dalla tradizione, lo produceva già il mio bisnonno. La scelta delle uve è di nuovo ragionata, non effettuata per vezzo: il tocai ha una bassa acidità e aggiungere la ribolla aiuta ad aumentare sia quest’ultima che la parte tannica. Il tannino consente una maggiore durata nel tempo, fino all’estate o alla vendemmia seguente. Anche la scelta di macerare le uve sulle loro bucce è dettata da un fattore pratico: per pressare le uve intere con i torchi di legno, era necessario farle ammorbidire tramite la macerazione per poi svinarle, altrimenti il lavoro sarebbe stato più faticoso e meno producente.
I vini in bevustazione:
Sacrisassi bianco – Le due terre