Ascolta “Ep. 08 – Teste di Carso con Roberto Terpin” su Spreaker.
Un “volo di drone” sul territorio del Carso (anche Kras, Karst) in compagnia del miglior cicerone che si potesse desiderare… l’unico ed inimitabile Roberto Terpin – Intaggabile erudito del mondo del vino. Un uomo scolpito dalla Bora, che a sua detta, ha spazzato via ogni sua vergogna.
Oggi parliamo di Carso che non è una parolaccia. Il Carso è quella regione…
Dario non mi rubare la scena! I ragazzi mi hanno chiamato a parlare di Carso perché sanno che è il mio luogo dell’anima, un luogo dove io sto bene. Carso è un termine geologico, la zona non ha confini definiti ne’ identità nazionali, è un luogo europeo. È il punto più a sud della Mittel Europa e quello più a nord del Mediterraneo.Dato semantico: la parola deriva dall’indoeuropeo kar (roccia, rupe) col tempo declinato nello sloveno Cras, nell’italiano Carso e nel tedesco Karst. Già questo delinea la complessità culturale e storica del luogo, la stessa che ritroviamo nei vini prodotti in quest’area.
Un melting pot di culture insomma.
Geograficamente il Carso si estende dall’altipiano calcareo sopra al golfo di Trieste, va fino a Murgia, confina con il Collio attraverso la valle dell’Alpago. Mi piace definirlo un luogo di talento, quello che cresce nel Carso è tutto poco, frutto di un lavoro duro e intenso: non tutto il terreno si può sfruttare, poichè è molto aspro, battuto dalla Bora che asciuga e piega tutto.
Luogo talentoso quindi per le sue dinamiche naturali, grazie alla quali l’uomo non ha potuto avere un atteggiamento aggressivo: come dice il produttore Marko Fon, prima di essere agricoltori vignaioli siamo degli spostatori di pietre, dei dissodatori di terra. Per organizzare gli ettari bisogna fare in modo che la pietra rimanga ma non prevalga, spostarla ma non rimuoverla totalmente e dunque non snaturare il terreno.
Ogni singolo vigneto non si estende in larghezza, poiché non ci sono molte zone coltivabili, anche se il capitalismo vorrebbe moltiplicarle…
Questo territorio difficile ci regala vini di forti identità e personalità, le vigne lottano con la roccia…
Si le vigne sono abituate a lottare, i vini sono espressivi. Non si coltivano viti non autoctone poiché si troverebbero in difficoltà in questo ambiente, e perché non c’è voglia di moltiplicare, in Carso si distilla bene, ma non si moltiplica.
C’è un altro unicum che rende il Carso talentoso: l’enorme biodiversità floristico-botanica. Mi viene da citare Marko Tavçar che oltre ad essere produttore di vino è apicoltore, floricoltore, cacciatore, affinatore di quello che caccia, raccoglitore di erbe.
In Carso ci sono tre contingenti di rilascio: l’Illirico Balcanico, l’Alpino e il Mediterraneo. La parte mediterranea la troviamo anche nel profumo e nel retrogusto dei vini, come nella Malvasia di Marco Fon che apriamo ora.
Anche il clima è variegato, ci sono parecchi microclimi determinati dal regime dei venti, dalla composizione del suolo, dalla stratificazione della piattaforma calcarea e dall’esposizione alla luce. Diciamo che si presta molto a tirature di bottiglie parcellari. Pensate che ho assaggiato sette malvasie diverse prodotte dallo stesso viticoltore, cioè Marco Fon di cui stiamo bevendo la malvasia 2017 .
Parlando di luce, il cielo del Carso sembra più grande…
È la rifrazione del golfo di Trieste, l’effetto della Bora che lascia un cielo terso, quasi ferisce gli occhi, c’è una luce diversa. Di questo beneficia anche la fotosintesi clorofilliana, questa luce produce effetti positivi.
A livello percettivo c’è una tersa solarità, poco umida. Il clima asciutto ha come risultato che i viticoltori possono trattare meno; la bora lava, pulisce, le colonie fungicide vengono allontanate. Ci sono poche muffe.
Poi ci sono le doline: crolli del suolo causati da acque sotterranee, dove il microclima è diverso, è molto più umido. Sotto la dolina si coltivano gli ortaggi, sopra ci può essere una vigna, che è esposta al vento.
Il Carso è anche terra di Osmize!
Si, ulteriore fenomeno che dà personalità al territorio Carso.
Osmiza deriva dal dialetto sloveno ossem che vuol dire otto. Un editto di Maria Teresa d’Austria permise ai contadini di aprire le loro case e somministrare le cose di loro produzione ai visitatori per soli otto giorni. Questa bella usanza è rimasta autentica, anche se ci sono osmize che barano e comprano i prodotti altrove, ma questo anche a causa del maggiore carico di lavoro.
Il vino da osmiza era il Terrano, il vino fresco da festa.
Vino Terrano da uva Terrano, parente del Refosco.
Parliamo dei vitigni allora!
Il Terrano è quello che ha più ettari vitati rispetto agli altri vitigni. Pochi investono sul Terrano perché è un vino che dà pensieri, con il quale hanno quasi un rapporto psicanalitico. Per esempio, Marco Fon ha chiamato il suo Terrano Lui, come se fosse un figlio illegittimo, quasi a sottolinearne l’estraneità e la difficoltà di relazione. Ma il Terrano buono è un vino pronto, fresco, tutto frutto, poco tannino e tanti antociani. Era il vino della festa, in cui il carattere simbolico del terreno si preserva ancora.
Poi ci sono le due signore eleganti da tappeto rosso: la malvasia nella declinazione carsica, e il vitigno autoctono: la vitovska.
Questa Malvasia di Fon che stiamo bevendo è una malvasia istriana dal naso interessante, mediterraneo, è vino generoso. Le sue vendemmie sono lunghe perché la piante in Carso, rispetto al Collio per esempio, maturano due o tre settimane dopo. Si inizia e si finisce tardi, in Carso ad ottobre difficilmente la vendemmia è finita.
Che ruolo ha nella vinificazione in bianco il contatto con le bucce?
Storicamente si è sempre applicata la macerazione sulle bucce nelle zone di Carso e Collio, poi era caduta in disuso, ma negli ultimi 30 anni contestualmente a Gravner tutti sono tornati a fare contatto con le bucce. Per come la vedo io, se uno vendemmia come l’annata comanda, non serve per forza fare macerazione per estrarre sapore. Questo per i bianchi.
Sul Terrano bisogna stare più attenti, bisogna essere degli alchimisti come Josko Renčel di cui apriamo adesso una bottiglia. Lui va ad intuito, la macerazione rischia di snaturare le caratteristiche dell’uva, spesso si perde la componente Terrano. È paradossale quando appena raccolto risulta dolcissimo, ma alla fine ti trovi un vino acidissimo, se viene male addirittura ha note verdi.
Chiudendo sul territorio e sulla biodiversità il suolo carsico dal punto di vista geologico è composto da calcare, calcio, arenaria, calcare fossilifero, gesso, graniti, dolomie… Il territorio dà tantissimo, ma è anche cosi difficile da attaccare che si crea un’autodifesa, in tanti si sono arresi non hanno potuto intervenire sul territorio.
Non abbiamo ancora parlato di produttori.
Edi Kante, Zidarich, Skerlj, Skerk, Marco Fon, Vodopivec, Renčel, i mostri sacri, ma ci sono svariati giovani vignaioli che si stanno cimentando con un attaccamento viscerale alla loro terra come ad esempio Marko Tavčar…basta fare una bella passeggiata e qualcuno salta fuori sicuramente perché non bisogna dimenticare la dimensione microbica dell’ambiente.
Durante la puntata Roberto ha fatto giocare i ragazzi con i sassi portati dal Carso, li ha fatti sfregare una pietra sull’altra per far comprendere appieno quanto il territorio cosi variegato conferisca odori e sapori… c’erano sentori di crostacei, di bisque, di pomodoro.